CASA CAPPONI

Nella seconda metà del 1200, Leonardo Spinelli, appartenente ad una casata legata all’Arte della Lana, avvia la trasformazione di un modesto laboratorio artigiano con soprastante abitazione, parte di un piccolo borgo cresciuto sui terreni della vecchia Badia di San Salvatore in Camaldoli.

Accorpando altre abitazioni attigue e costruendo due nuovi ali laterali, protese verso l’Arno ad includere il giardino, l’originaria casa diventa un elegante palazzetto, che nel 1769 viene acquistato dal Marchese Vincenzo Maria Capponi.

Il Marchese si prodiga nell’abbellire ed arricchire il palazzetto, decorandolo con stucchi e affreschi secondo la moda dell'epoca (parte dei quali sono ancora visibili in tre locali del primo piano), ed appone sulla facciata lungo Borgo San Frediano lo stemma familiare dei Capponi, sormontato dalla corona marchionale.

Gli interni di rappresentanza sono arredati con mobilio di pregio ed impreziositi da quadri di noti pittori, quali Tommaso Gherardini, Giuseppe del Moro e Antonio Marini.

Nel 1843, l’immobile viene ceduto e diviene sede della Camera di Soprintendenza Comunitativa (l’allora Catasto), che vi rimane fino ai primi decenni del Novecento.

Dopo essere stato prima “Casa del Fascio” e poi sede della Casa del Popolo “Giacomo Matteotti”, frequentata sezione d’Oltrarno del Partito Comunista Italiano, l’immobile versa in stato di abbandono fino a quando viene acquisito dal Demanio che, dopo lunghi lavori di ristrutturazione e di recupero funzionale, nel 1995 lo affida alla Guardia di Finanza.

Intitolato al “Col. Antonio Fontanelli”, Ufficiale del Corpo prematuramente scomparso nel maggio del 1972, cui è dedicato il memoriale al primo piano, l’immobile ospita dapprima il Comando della “Zona X” della Guardia di Finanza e, a tutt’oggi, il Comando Interregionale dell’Italia Centro Settentrionale.

CASA CAPPONI

Sala del Giudizio di Paride

Ambiente tipicamente di rappresentanza, adattato tra gli ultimi anni settanta e il 1782 dal Marchese Capponi per disporre di una classica sala, consona al suo status politico, in cui ricevere ospiti e visitatori.

Un tempo accessibile attraverso una serie di sale en enfilade, l’ambiente era riccamente decorato e arredato, per veicolare l’immagine di un padrone di casa potente, mecenate, collezionista e protettore di arti.

I soggetti e le tecniche portano ad attribuire pitture e stucchi alla cerchia di pittori che faceva capo a Tommaso Gherardini (Firenze, 1715-1797), un importante gruppo di artisti che, proprio negli stessi anni, sono stati impegnati nella decorazione di tanti altri palazzi, ville e dimore nobiliari di Firenze.

Volta.

Gli affreschi nel soffitto sono “a cielo aperto”, nel quale divinità, muse e personificazioni allegoriche occupano la volta con andamento circolare, assise su soffici nuvole o librate in volo.

Il tema principale è il “Giudizio di Paride”, episodio da cui ha origine la guerra di Troia, raffigurato per significare che un buon principe deve astenersi dalla scelta tra gloria, potenza e amore, rispettivamente personificati da Giunone, Minerva e Venere, poiché lui deve saper trovare il giusto equilibrio tra questi favori divini.

Al centro della volta celeste si staglia Giove. Introno a lui troviamo anche Ercole (con la pelle di leone ai suoi piedi), Diana (con il suo carro trainato da cervi) e (si ritiene) Bacco con Arianna.

Giudizio di Paride

Al di sotto di Giove e al cospetto di Paride, troviamo Minerva (dea con l’armatura e lo scudo), Giunone (con i puttini che trattengono un pavone, suo attributo) e, più lontana, Venere (che tiene con lievi cordicelle le colombe a lei care), accompagnata da Amore nell’atto di lanciare il suo dardo.

Mercurio, il dio alato, è raffigurato mentre si allontana, dopo aver donato il pomo d’oro a Paride, il quale, dipinto con il bastone che lo identifica come il principe pastore a guardia delle greggi reali de padre Priamo, lo tiene incerto ai suoi piedi.

L’affresco propone ancora il dio Mercurio insieme a Minerva e Giunone, dipinte insieme ad una Cerere-Prosperità, vicina a una corona d’alloro e ad un’aurea corona che rimanda al casato Capponi.

La guerra si placa, l’amore trionfa e la prosperità governa la terra e il mare, personificato dal dio Nettuno, auspicando lunga durata di entrambi, come sembra esortare il Tempo, anziana figura dalla folta barba canuta, con clessidra e falce.

Pareti.

Lungo le pareti si dipana un mirabile esempio di quadraturismo fiorentino, tradizionalmente utilizzato per “qualificare” le sale a sviluppo longitudinale, scarse in larghezza e luminosità.

Le decorazioni sono in gran parte andate perdute per effetto di successive scialbature, come testimoniano le scalpellature per far meglio aderire l’intonaco coprente.

Al centro della parete orientale (dietro la scrivania) un cartiglio dipinto in finto marmo accoglieva probabilmente un’iscrizione dedicatoria, oggi non più leggibile.

Sulla parte opposta, il simulacro di statua classica in monocromo, raffigurante la Prosperità, con spighe di grano (oggi poco visibili). Insieme al tema del “buon governo” delle volte del soffitto, contribuisce alla celebrazione delle virtù del casato Capponi e del governo della Toscana.

Saletta del piano nobile, decorata nell’Ottocento in stile tipicamente post-Restaurazione.

Saletta della Primavera

L’autore dei dipinti è ignoto, anche se l’uso dei monocromi e l’assetto dei decori, espressione tipica della corrente Purista dal forte sapore neoclassico, rimandano ad Antonio Marini (1788-1861), uno dei maggiori esponenti della suddetta corrente e tra i più prolifici artisti della prima metà dell’Ottocento in Firenze.

Volta.

Il soffitto è coperto da un’ampia volta a vela, dipinta “a cielo aperto”, il cui centro ospita l’immagine eterea della Primavera che libra lieve e leggera, simile a una danzatrice pompeiana, nell’atto di spargere nell’aere delicati fiorellini.

Una cornice in finto marmo, decorata con palmette acantiformi, riquadra la scena ed è chiusa, in ciascun angolo, da girali e torcia fiammeggiante.

Nelle quattro lunette sotto la volta, sul fondo azzurro cielo, graziosi amorini dipinti a monocromo sono intenti a giocare, a suonare strumenti musicali, a raccogliere frutti o a pescare.

Pareti.

Lungo le pareti, una sobria decorazione pittorica finge un leggero cornicione, decorato con fiori di loto, palmette e rametti di quercia.

Le soprapporte presentano specchiature con strumenti musicali in monocromo.

Alla base delle pareti, una cornice con decori neoclassici chiude la struttura finto architettonica dell’ambiente.

Il salottino settecentesco

Un tempo affacciato sul giardino all’italiana, la saletta metteva in comunicazioni ambienti diversi del palazzo. Anche se “di passaggio”, secondo un modulo ricorrente nel Settecento austriaco, introdotto in Toscana dai Lorena, questi ambienti (cabinet) venivano valorizzati con l’applicazione di virtuosismi pittorici e decorativi, fino a farli diventare veri e propri “salottini di delizie”.

La fitta decorazione che copre il piccolo ambiente enuncia le arti e l’agricoltura, un binomio inscindibile nel programma politico improntato a un progresso illuminato, che ha fatto la grandezza dei Lorena in Toscana e che ben si sposava con il pensiero della nobiltà terriera granducale, di cui i Capponi erano esponenti di spicco 

Gli autori delle decorazioni non sono conosciuti, anche se evidenti analogie tecniche fanno pensare all’esecuzione di noti artisti che negli stessi anni delle committenze del Marchese Capponi erano impegnati in Palazzo Pitti e altre dimore di pregio della città.

Volta.

Affresco “a cielo aperto” raffigurante “Le Virtù che scacciano i Vizi”, episodio raccontato con il consueto repertorio di divinità e di personaggi allegorici dei vizi e delle virtù, nel quale si riconoscono Ercole, Marte e Minerva insieme alle tre Parche (Cloto, Lachesi e Atropo, personificazioni del destino raffigurate rispettivamente mentre filano, donano e tagliano il filo della vita umana).

Cornicione.

Pareti e soffitto sono separati da un cornicione ricco di delicati girali d’uva e di acanto con rosette in stucco bianco e dorato che includono vivaci silhouettes di sirene e vasi dalla forma classicheggiante.

Agli angoli, decori in stucco raffigurano un mascherone neomanierista dorato e una coppia di tritoni alati in oro, plasmati nell’atto di sostenere un’anfora.

In ogni parete il cornicione è interrotto da cornici ovali in stucco, che contengono un paesaggio marino e tre vedute campestri con fugaci presenze umane.

Pareti.

Riccamente decorate su un fondo verde chiaro, le pareti sono spartite su basamenti a finto marmo, sovrastati da candelabre, specchiature e affreschi.

Le specchiature accolgono eleganti emblemi musicali e attrezzi per l’agricoltura, che si intrecciano con foglie di olivo e abbondanti spighe di grano.

Esprimendo un rinnovato amore per il l’antico, le candelabre racchiudono, fra girali di acanto e alloro, sei medaglioni con profili di imperatori romani, cui si aggiunge un medaglione con l’effige del committente, il marchese Vincenzo Maria Capponi. In ciascun angolo, un grande ramo di palma in stucco dorato.

I tre ampi episodi pittorici in affresco raffigurano a mò di quadri riportati, sostenuti da delicati nastri svolazzanti.

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